Il carrubo

CARAT: CULTURA, ARCHITETTURA RURALE, AMBIENTE E TERRITORIO

E’ la pianta sempreverde tipica del territorio Ibleo. Il carrubo, il cui nome deriva dall’arabo “kharrub”, è una pianta molto longeva, potendo superare anche più secoli, e di grande taglia: riesce a raggiungere i 10-12 metri d’altezza, mentre il diametro della chioma spesso supera i 10 metri. La crescita del carrubo è lenta, i frutti della pianta compaiono in primavera e giungono alla piena maturazione nel periodo di agosto-settembre.

Il carrubo nasce come albero spontaneo nelle terre del bacino orientale del Mediterraneo. La sua coltivazione pare abbia inizio soltanto al tempo dei Greci, che la estendono in Sicilia, ma sono gli Arabi che ne intensificano la coltivazione e la propagano fino in Marocco e in Spagna. Altri autori

sostengono che l’originaria diffusione del carrubo in Sicilia sarebbe dovuta ai Fenici, i colonizzatori più antichi dell’isola.

La coltivazione è concentrata nella fascia di territorio compresa fra le valli del Dirillo e dell’Anapo: nella sola provincia di Ragusa si trova il 72% della superficie nazionale investita, che dà il 70% della produzione italiana ed il 78% di quella isolana. Ancora oggi, nonostante le frequenti estirpazioni per far posto alle colture intensive ed in serra, il carrubo domina quasi incontrastato, e spesso, nei terreni più scoscesi, costituisce l’unica macchia di vegetazione. Il carrubo, dunque, rappresenta non solo un intero territorio ma simboleggia il legame indissolubile tra l’uomo e la sua terra tale da diventare icona letteraria. Così anche Salvatore Quasimodo, pur lontano ormai dalla Sicilia, ravvisava nel carrubo un’immagine in grado di rappresentare la sua terra madre; in quel Lamento per il Sud ne aveva avvertito il tremore causato dal vento.

La luna rossa, il vento, il tuo colore

di donna del Nord, la distesa di neve… Il mio cuore è ormai su queste praterie, in queste acque annuvolate dalle nebbie. Ho dimenticato il mare, la grave conchiglia soffiata dai pastori siciliani, le cantilene dei carri lungo le strade

dove il carrubo trema nel fumo delle stoppie, ho dimenticato il passo degli aironi e delle gru nell’aria dei verdi altipiani

per le terre e i fiumi della Lombardia.

Ma l’uomo grida dovunque la sorte d’una patria. Più nessuno mi porterà nel Sud.

Allo stesso modo Gesualdo Bufalino “in Cento Sicilie” fa del carrubo un elemento identitario del territorio ibleo in 7 parole: “Vi è la Sicilia verde del Carrubo”:

Vero è che le Sicilie sono tante, non finiremo mai di contarle. Vi è la Sicilia verde del carrubo, quella bianca delle saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava.

Una curiosità: il carrubo lega in sé sia San Giovanni che San Giorgio, protettori delle due anime di Ragusa. Nella tradizione ebraica il frutto tipico della festa Tu bi-Shevat è il carrubo, detto anche “pane di San Giovanni”, forse perché il Battista se ne nutrì nel deserto. Tuttoggi in inglese l’albero è chiamato volgarmente “carob tree” o “St. John’s bread”. In Siria e in Asia Minore, invece, l’albero era sotto la protezione di San Giorgio.